La Storia

IMGCuriosità sul nome

Come per molti insediamenti antichi presenti in Italia, anche per Piansano le origine del toponimo sono oggetto di ipotesi più o meno fondate, spesso prodotte da superficiali interpretazioni o dalla fantasia popolare.

Il cronista Seicentesco Benedetto Zucchi, nelle sue relazioni sui territori del ducato di Castro ai duchi Farnese, riferisce come il nome del paese sarebbe derivato dal toponimo Pianzanello, territorio concesso dalla città di Tuscania ai coloni toscani, immigrati per ripopolare la zona nel corso del XVI secolo. I cronisti ottocenteschi Moroni e Palmieri, invece, sull'etimologia della parola Piansano, proposero di scomporla semplicemente in Piano - Sano, riferendosi alla nota fertilità delle campagne circostanti l'abitato e alla salubrità dell'aria.

Entrambe le ipotesi presentano dei punti deboli: è inverosimile che il toponimo compaia solo a seguito dell'immigrazione aretina del XVI sec., poichè esiste già un Vicu Plautianu nei registri del Monastero di San Salvatore sul monte amiata (IX sec); per quanto riguiarda le caratteristiche di salubrità e fertilità del luogo, va sottolinato che gli stessi cronisti seicenteschi lo descrivono come spopolato e ricoperto di boschi.

Sebbene risulti arduo ripercorrere l'etimologia delle parole in assenza di fonti scritte, è noto. sin dall'alto medioevo, il toponimo di un agglomerato rurale detto Plautjano, talvolta Planzano, che mostra evidente assonanza con il latino Plautianus, variante di Plotianus. E' verosimile che la parola si possa scomporre in Plozio, prediale latino e anus, suffisso che introduce il concetto di proprietà: plauti-anus = proprietà di Polotio: gens romana piuttosto nota anche dalle iscrizioni, che annoverava egregi poeti e famosi oratori. E' altresì comune che nella centuriazione romana i vari fundi venissero chiamati con il nome della famiglia del proprietario e che col tempo i toponimi si formassero con l'apposizione del suffisso anum al nome della gens di appartenenza, come avviene probabilmente anche per i paesi di Valentano, Onano, Pitigliano ecc... Anche se tale ipotesi non ha ancora riscontri definitivi, appare senza dubbio più convincente delle altre, ugualmente suggestive, ma prive di fondamento.


Le origini

Nonostante il territorio di Piansano non sia mai stato oggetto di ricognizioni e scavi archeologici sistematici, appare ricco di testimonianze, tali da attestarne lontane origini. La presenza di un primo insediamento stanziale Eneolitico è confermata dal rinvenimento di una cospicua raccolta di punte di freccia in selce, oggi conservate presso il Museo Nazionale Preistorico Etrnografico "Luigi Pigorini" a Roma.

Il popolamento del territorio piansanese fin dall'epoca etrusca è provato da una consistente concentrazione di sepolture di varia tipologia: a cassone, a camera, a cappuccina, disseminate in particolare lungo le strade che conducevano a Capodimonte, Valentano, Tuscania e Cellere, anche'essi abitati fin dall'epoca arcaica e custodi, allo stesso modo, di preziose tracce archeologiche. Tra le sepolture ve ne sono anche di notevoli, come quelle a camera, databili tra il IV e III secolo, che stanno a testimoniare la raggiunta floridezza dell'insediamento sotto l'influenza di Tuscania, nel suo momento di massima espansione. Ciò è provato inoltre dalla visibile affinità tecnica e artistica, riscontrata tra le suppellettili provenienti dalle tombe piansanesi e quelle rinvenute nel territorio tuscanese. Tra le sepolture ipogee rinvenute, una delle più interessanti è quella posta sulla parete tufacea che guarda ad Est, sotto la via principale di Piansano, via Santa Lucia. La tomba venne alla luce nei primi anni '80, durante gli scavi per la costruzione del parcheggio e del giardino davanti all'edificio scolastico. Questa è composta da due camere sepolcrali separate da un setto centrale ricavato nel banco tufaceo. La caratteristica che la rende così importante dal punto di vista archeologico è la presenza, sul fronte del setto centrale, di una iscrizione etrusca incisa nel tufo: si tratta di almeno quattro righe scritte da destra verso sinistra e accuratamente impaginate, lacunose nella parte centrale e nell'ultima riga, a causa del crollo di parte della parete. Dopo 30 anni di oblio, nel 2007, l'iscrizione è stata presa in esame dal Professor Alessandro Morandi, della sezione "Etruscologia e Antichità italiche", Facoltà di Scienze Umanistiche, dell'Università La Sapienza di Roma. Allo studio è seguita, nel 2009, una esauriente pubblicazione che data la tomba al IV III sec a. C.e rivela come l'iscrizione sia occupata totalmente da forme onomastiche, riferibili ai defunti di più famiglie ospitati nella tomba. Nel complesso i gentilizi dell'iscrizione trovano confronto sia in territorio tarquiniese sia in quello etrusco settentrionale in genere; tra queste ha un certo spicco il noto gentilizio Hul?nies ricollegabile con un Luvce Hul?nies A. da Musarna. L'iscrizione, secondo il prof. Morandi, ha implicazioni etnogenetiche di fondamentale portata per Piansano e unita alle altre epigrafi rinvenute nel territorio, crea un arricchimento del patrimonio culturale etrusco della zona, alquanto trascurata dalla ricerca archeologica. Scendendo a valle, sullo stesso fronte tufaceo, è visibile quel che resta di un colombaio, crollato per la gran parte, pertinente alla stessa necropoli. Sono state censite nel territorio altre tombe interessanti; alcune, di discrete dimensioni, sono dotate di copertura a spioventi con columen centrale. Da qui provengono suppellettile varia e notevoli esemplari di urne e sarcofagi, uno dei quali recante l'iscrizione con il nome del proprietario, è esposto nell'atrio del palazzo comunale di Piansano. Dalla località Macchione, invece, proviene un bel coperchio di sarcofago in terracotta policroma di epoca tardo etrusca, oggi conservato nel Palazzo Gentili di Viterbo. Stando alle testimonianze rinvenute, la tipologia a camera, indice di un certo agio nella società dell'epoca, deve aver lasciato il posto a partire dal I secolo a.C. alle più semplici tombe a cappuccina, rivelando forse un indebolimento economico del centro in questo periodo.

L'individuazione di alcuni basoli, quel che resta degli antichi tracciati stradali, accompagnata da altre evidenze archeologiche, permettono di localizzare, con una certa sicurezza, un antico abitato sul cosiddetto poggio di Metino. Il sito sembra occupato fin dall'epoca etrusca e popolato con continuità nel periodo romano, fino al VI secolo d.C.; l'interesse verso questo pianoro è notevole, essendo coinvolto nella questione archeologica, non ancora risolta, mirata a localizzare l'antica città di Maternum, variamente identificata senza successo appunto con Piansano, Castro, Canino, Valentano. Al di là della possibile, ma non archeologicamente provata ubicazione di Maternum su tale collina, sono presenti nell'area vestigia di massicce mura etrusche e poi romane in opus listatum e reticulatum, tagliate di accesso al pianoro, sepolture in cui sono state rinvenute suppellettili di vario genere. Ad ogni modo, se la questione di Maternum appare ancora irrisolta, resta comunque la certezza che questo territorio affondi le proprie radici molto molto lontano…Una ulteriore conferma della presenza capillare di insediamenti etruschi nel territorio di Piansano, ma anche della limitata presenza di acque sorgive, è rappresentato da un particolare edificio che si trova alle pendici del Monte di Cellere. L'archeologo P. Laspeyers, che effettuò lo scavo del monumento nel 1870 dandogli il nome di "Fontana etrusca", lo descrive come una struttura rettangolare di 30,45 per 9,40 metri. Le mura perimetrali sono composte da pietre ben squadrate di tufo, con i lati lunghi che si vanno ad incuneare nella collina ed il lato corto volto verso valle. Nell'angolo a nord-est scende all'interno della vasca una rampa costituita da pietre squadrate, che doveva condurre, secondo Laspeyers, al punto più vicino alla sorgente e quindi più comodo per attingere acqua. Secondo lo studioso un tale dispiegamento di forze non dovette servire semplicemente ad incorniciare una fonte; piuttosto dovette essere un luogo in cui rifornirsi di acqua e lavare in grosse vasche, in poche parole sia una fontana che un lavatoio pubblico. Per quanto riguarda la datazione il Laspeyers non si sbilancia; riferisce semplicemente della presenza di un cippo sepolcrale tardo-romano posto sopra al sito, dopo lungo tempo dall'abbandono dalla fonte; ciò significa che la fontana, che ebbe probabilmente una lunga vita, è sicuramente precedente all'epoca romana, durante la quale fu dismessa ed interrata. La struttura va quindi attribuita all'epoca etrusca, non meglio precisata in mancanza di altri elementi datanti


I Romani

Grazie alle evidenze archeologiche, certa quanto la presenza etrusca appare la colonizzazione Romana. Dopo la presa di Vulci alla fine del III sec. a. C., i Romani suddivisero la terra dei Tusci in fundi agrari, da distribuire tra i veterani e gli aristocratici. Diedero vita a nuovi insediamenti, in altri casi potenziarono quelli esistenti, disseminando le campagne di ville rustiche (dimore dei proprietari terrieri), ampliando notevolmente il sistema viario per agevolare comunicazione e traffici commerciali. A questo scopo, nei territori che lambiscono Piansano, i Romani costruirono un'importante asse stradale, la via Clodia, che congiungeva Roma all'Etruria nord – occidentale, passando per Tuscania, per la misteriosa Maternum, fino ad arrivare probabilmente a Saturnia.

Le testimonianze di epoca romana presenti nell'area di Piansano appartengono probabilmente ad abitazioni, di cui rimangono solo lacerti di mura a livello delle fondamenta, a causa del sistema di arature profonde, che ha interessato tutta la campagna piansanese fin dalla metà del secolo scorso. In località Poggio di Metino, sono evidenti tracce di basolato, pertinenti ad un asse viario non identificato; a ciò si aggiungono terrecotte votive e frammenti ceramici di ogni tipo, porzioni di coppi e laterizi, e soprattutto esemplari di monete romane, anche in oro e argento, oltre che bronzo, elementi datanti che attestano la frequentazione romana fin dal IV secolo a.C.


L'alto medioevo: Plauziano

La stabilità politica ed economica assicurata dalla dominazione romana andò ad affievolirsi nel corso del IV e V sec. d. C., a causa delle continue scorrerie di orde di popolazioni barbariche che assediarono e saccheggiarono territori un tempo floridi; lo sconvolgimento che ne derivò portò all'inesorabile crollo dell'Impero Romano e lasciò il suolo italico in balia di guerre, nuove egemonie e oppressioni.

Il territorio piansanese, come del resto tutta la Tuscia, non sfuggì a questa sorte. Sul Poggio di Metino, in cui le emergenze archeologiche attestano continuità di frequentazione dal IV secolo a.C. in poi, vi sono indizi che fanno ipotizzare un violento assedio al quale seguì una repentina evacuazione del sito. L'abbandono forzato e non pianificato del Poggio di Metino è testimoniato dalla presenza di abbondanti reperti archeologici lagati all'ultima fase di vita del villaggio; tra questi sono presenti molte monete, la cui datazione si interrompe bruscamente alla metà del IV sec. d. C., quando tutto intorno imperversava la guerra tra Goti e Bizantini. A ciò si aggiungano tracce evidenti di incendio, identificabili nella presenza di metalli fusi, mattoni bruciati, frammenti di ceramica annerita dal fuoco, sparsi su tutto il pianoro. Al conflitto greco - gotico, seguì la discesa dei Longobardi, e la situazione, per gli insediamenti già duramente provati dai saccheggi, dalle carestie e dalle pestilenze, precipitò definitivamente. Abbandonato il pianoro di Metino, dopo secoli di oblio, riaffiorano nella storia labili tracce riferibili ad un villaggio rurale, poco distante l'antica collina, che i documenti dell'epoca ricordano come Platjanula o Plautjanu. In un atto dell'anno 845 si legge di un diacono Ildiprando, del monastero di San Salvatore sul monte Amiata, che donò a un tale Liuto, terre e case in fundo et vicu Plautjanu.

Le fonti riferiscono che, negli stessi anni, sui territori piansanesi, doveva sorgere anche un altro piccolo insediamento, che gli atti del monastero amiatino definiscono vico Mariano, ovvero Marano: si tratta di un centro minore, un piccolo villaggio agricolo, stando ai documenti, più antico di circa un secolo rispetto a Plauziano, la cui localizzazione rimane tuttavia sconosciuta. Secondo alcuni identificabile con il piccolo maniero, noto come la Rocchetta, che sorge nei pressi del poggio di Marano; secondo altri da posizionare in località monte della Pieve, suggestivo colle che volge verso la vicina Tuscania.


Il basso medioevo: Castrum Planzani

Al volgere tra il primo e il secondo millennio, quello che un tempo era un piccolo villaggio facente parte del Patrimonio di San Pietro in Tuscia, si era guadagnato l'epiteto di castrum, ovvero di borgo fortificato, di cui resta traccia in un piccolo tratto di muro appartenente all'antica rocca de XII secolo. Le cronache ci informano che intorno al 1150 Piansano era nelle mani dei conti di Vetralla che di lì a poco, per iniziativa del conte Guitto, cedettero metà del loro possedimento a Viterbo: a memoria di questo evento vi è il dipinto seicentesco di Ludovico Nucci e Tarquinio Ligustri che decora il soffitto della Sala Regia del comune di Viterbo; insieme a Piansano, cinto di mura e coronato da torri, vi compaiono altri borghi, quali Marano, Bisenzo, Cornienta, che nel medioevo caddero ripetutamente tra le grinfie della potente città. Alla metà del secolo successivo fecero invece la loro comparsa nella storia del borgo i signori di Bisenzo: iniziarono intrighi di famiglia, successioni, tradimenti, uccisioni, che videro coinvolti valenti quanto spregiudicati nobili come i fratelli Giacomo, Nicola e Tancredi, eredi del feudo nel 1258, e Galasso che nel 1301, tradendo la vicina Tuscania, si alleò con Viterbo.

Forti ripercussioni ebbe l'esilio dei papi ad Avignone, nel 1305: i conti di Bisenzo, dichiaratamente ghibellini, si dettero a scorrerie di ogni tipo nei territori papali, approfittando dell'assenza dei pontefici; al termine della cattività avignonese, furono duramente puniti e dovettero consegnare le chiavi del castello, scomparendo così per sempre dalla storia di Piansano. Iniziarono anni molto travagliati, in cui l'egida della Chiesa si alternò a potenti uomini d’armi in cerca di nuovi feudi, Giovanni dei prefetti di Vico, Cinzio di Giacomo d’Arezzo, Giannotto di Monte San Martino; nessuno di questi riuscì a lasciare durevole traccia di sé nella storia del borgo, che sfiancato da anni di lotte e contese dovette subire anche la demolizione del proprio castello, fieramente eretto secoli prima. Privato della rocca e impoverito, Piansano era tuttavia ancora ambito e conteso nelle dispute del tempo; fino a chè, nel 1537, il borgo passò nelle mani di Pier Luigi Farnese, primo Duca di Castro; per Piansano si aprirono nuove intense pagine di storia.


Nasce il ducato di Castro…

L'annessione al ducato di Castro rappresentò un momento di fondamentale importanza per il borgo di Piansano: privo da anni di una guida politica stabile, ormai povero e quasi disabitato, nelle mani dei Farnese sorse a nuova vita attraverso una sapiente opera di recupero delle terre un tempo fertili e poi abbandonate. Fu soprattutto il cardinale Alessandro, nipote di Paolo III, a prendersi cura di molte delle terre incamerate nel ducato: verso i centri di Piansano, Arlena, Tessennano, accomunati da un crescente stato di abbandono, furono incoraggiate a trasferirsi numerose famiglie provenienti ora dalle terre toscane ora umbre, allo scopo di ripopolare, i piccoli centri vessati da anni di incurie. Fu così che, intorno al 1560, nel borgo di Piansano giunsero genti provenienti dalla vicina toscana, in origine poco più di dieci famiglie, destinate ad aumentare notevolmente nel tempo; ad essi veniva concesso, dietro pagamento di un dazio, un terreno disboscato, pronto per essere coltivato o lasciato al pascolo, e si accordava la possibilità di costruirvi sopra nuove case.

Il cronista del Ducato di Castro Benedetto Zucchi ricorda come i coloni di Piansano riuscirono ad ottenere terreni da pascolo a discapito di Tuscania,…perché il castello essendosi cominciato ad ampliare ne aveva molto bisogno…. La manciata di uomini giunti nel 1560, nel giro di pochi decenni diede vita ad un borgo di quasi 160 famiglie, che riportarono in vita antiche tradizioni e ne impiantarono di nuove, memori delle origini toscane; con il sudore risanarono le terre rendendole nuovamente fertili, edificarono case per abitare dignitosamente e chiese per onorare la loro devozione, restituendo a Piansano la fierezza di un tempo. A testimonianza di ciò, nelle campagne piansanesi sono sono stati rinvenuti dei cippi di confine in peperino, uno recante il giglio e le iniziali AF, ager farnesianus, l’altro con su inciso TA, ager tuscanensis, e lo stemma di Tuscania, ad indicare il confine tra le terre pertinenti ai due vicini centri.


Dalle macerie del ducato risorge Piansano

Nel Novembre del 1649, al termine di una lunga guerra, Papa Innocenzo X ordinò la distruzione di Castro, capitale del ducato Farnesiano, annettendo allo Stato della Chiesa ogni terra ne avesse fatto parte. Il territorio espropriato venne affittato ad appaltatori scelti dalla Santa Sede, incaricati all'amministrazione dei terreni per periodi di nove anni; il risultato fu una crescente condizione di degrado e povertà che interessò tutti i paesi dell'ex ducato. Gli appaltatori agivano infatti nella cura dei propri interessi, non adoperandosi a incentivare la produzione agricola, al contrario ancorando i centri ad un economia stagnante, in cui erano quasi aboliti gli scambi e moltiplicati i vincoli; era proibito coltivare o pascolare bestiame al di fuori delle terre un tempo del ducato, non si poteva costruire e si lavorava sotto il controllo dei soldati, al sostentamento dei quali erano gli stessi abitanti a provvedere obbligatoriamente: ogni disobbedienza era infatti punita con la confisca dei beni. Tale situazione si protrasse per tutto il XVIII secolo, accompagnando molti centri lungo la via della decadenza.

Piansano, così come gli altri borghi, vide tramontare in pochi decenni la floridezza duramente conquistata; tuttavia la tempra dei cittadini, abituati fin dalle tumultuose vicissitudini del passato a sollevarsi nei momenti di crisi, evitò il decadimento del paese, che sebbene afflitto da pestilenze e carestie, trovò tuttavia la forza di andare avanti e mantenere viva la propria identità culturale e le proprie tradizioni. Come spesso è accaduto anche altrove in mancanza di guide politiche di riferimento, furono le famiglie locali più abbienti a tenere le redini del paese; fu grazie alla generosa iniziativa di alcune di queste che nel corso del XVIII secolo, proprio quando il dissesto era ormai all'apice, sorsero nuovi edifici, nacque la scuola delle Maestre Pie, la chiesa parrocchiale di San Bernardino venne portata a nuovo spelndore, si edificarono le chiesette del Suffragio e di Sant'Anna; artefici di molte di queste nobili e liberali azioni furono i membri della famiglia De Parri: forti dell'accumulo di ingenti capitali e possessori di molte terre, misero spesso la loro ricchezza al servizio della comunità, sebbene siano noti i loro intrighi di famiglia, le spregiudicate mosse politiche, l'amore per la mondanità, che però mai ne infangarono la fama di benefattori; in particolare la loro munificenza fu indirizzata a promuovere iniziative della Chiesa di Roma, con la quale vantavano ottimi rapporti.


Le fiere origini contadine

Sul volgere del XVIII sec., la salita al soglio pontificio di Pio VI risollevò le sorti dei possedimenti dell'ex ducato; per volere del papa, all'affitto novennale delle terre si sostituì il sistema delle castellanie: l'intero territorio, troppo esteso per essere controllato e adeguatamente sfruttato, fu frazionato e ciascuna porzione, o castellania, concessa in enfiteusi a nuovi proprietari. In concomitanza di ciò vennero aboliti tutti quei divieti e monopoli, che negli ultimi anni avevano oppresso l'economia locale e vennero concesse porzioni di terra alle famiglie piu numerose; fu un primo passo verso l'affermazione della proprietà privata.

Nel 1790 lo stesso pontefice concesse la castellania di Piansano al conte Alessandro Cardelli, al quale seguirono negli anni il blasonato principe polacco Poniatowski, il conte Giuseppe Cini di Roma, al quale subentrò nel 1897 il Monte dei Paschi di Siena, erede di un territorio di più di mille rubbie di estensione. In questi anni di passaggi di mano più o meno indolori, l'antico feudo, notevolmente ridotto, fu interessato da una consistente legislazione, prima promulgata dalla Chiesa, poi dallo Stato, che unita a una partecipazione popolare senza precedenti, muterà il volto all'antica Piansano, orgogliosamente battutasi in una secolare lotta per la terra.

Il 1859 fu l'anno della prima affrancazione, a cui seguirono quelle del 1897 e del 1905, grazie alle quali furono del tutto accantonati i vecchi e sterili metodi di conduzione dei terreni a favore di un sistema più duttile, volto all'affermazione di tanti piccoli proprietari terrieri liberi da ogni servitù e da desueti vincoli: l'affrancazione stabiliva infatti la rinuncia da parte della popolazione ad antichi diritti civici, in cambio dei quali sarebbe stata concessa una piccola porzione di terra assegnata ai capifamiglia in enfiteusi perpetua. Le concessioni in enfiteusi avvennero, con pressioni da parte della popolazione ormai avvezza al nuovo sistema, nel 1890, nel 1906 e nel 1919; queste conquiste sociali diedero di conseguenza impulso ad opere mirate all'aumento della produttività, quali interventi di bonifica, intensificazione delle colture, attuati con grandi risultati.


La storia contemporanea attraverso le amministrazioni comunali

Dal medioevo fino al tutto il '700 ad amministrare i piccoli comuni della Tuscia sono i podestà. Il podestà è di norma uno straniero ed il suo ufficio è temporaneo; si occupa di amministrare la giustizia per le cause criminali e civili e gli sono demandate le decisioni consiliari quale capo supremo del potere esecutivo. Nel 1796 le armate Napoleoniche, entrate in italia, conquistano anche lo Stato Pontificio; durante la prima parentesi francese vengono stravolte le amministrazioni comunali e a capo del comune viene posto un edile. Nel 1800 il nuovo pontefice Pio VII riprende possesso delle terre del Patrimonio di San Pietro, consegnategli dagli eserciti napoletano ed austriaco. Vengono introdotte delle riforme nel sistema della pubblica amministrazione dello stato ecclesiastico e i comuni vengono posti alle dipendenze del Delegato Apostolico. Con il decreto Napoleonico del 17 maggio 1809, Lazio ed Umbria vengono annesse all'Impero Francese. I comuni furono da allora amministradi da un maire (sindaco), che durava in carica 5 anni ed era scelto tra i maggiorenti del paese. Nel luglio del 1815, a seguito delle deliberazioni del congresso di Vienna, gli antichi territori della Chiesa vengono restituiti al Papa Pio VII. Con il provvedimento motu proprio del 6 Luglio 1816, viene riorganizzata la pubblica amministrazione: il consiglio comunale diventa di nomina governativa e vitalizia; i consiglieri devono essere originari del luogo e appartenere a determinate categorie di cittadini (possidenti terrieri, capi delle arti, commercianti ecc..). La carica di gonfaloniere, corrispondente all'attuale sindaco, è ricoperta da un cittadino eletto direttamente dalla Segreteria di Stato.

Nel 1824 Papa Leone XII diede avvio ad una nuova riforma (con motu proprio), nella quale si stabiliva che il consiglio comunale fosse composto per metà dal ceto nobile e per metà dai cittadini e che la carica di consigliere fosse, oltre che vitalizia, anche ereditaria. Si andava così rafforzando il potere della piccola nobiltà legata all'autorità pontificia.

La quasi esclusiva vocazione agricola del paese portò Piansano a ignorare i moti rivoluzionari che coinvolsero il resto d'italia nel grande Risorgimento. Ciò si riflette anche nella toponomastica paesana, che vede la quasi totale assenza di rimandi al Risorgimento Italiano nei nomi delle vie principali, mentre nel resto d'italia vie e piazze vengono rinominate con i simboli dei moti rivoluzionari.

Con l'unità d'Italia si va delineando quella struttura degli organi comunali che giungerà fino ad oggi. All'indomani dell'annessione del Lazio al Regno d'Italia (con plebiscito del 2 Ottobre 1870) la carica di sindaco sarà ricoperta dai vari maggiorenti del paese. Va sottolineato che il sistema elettorale in vigore in quel periodo era a suffragio ristretto, vale a dire votava solo chi aveva un censo elevato. L'amministrazione del comune di Piansano era appannagio delle poche famiglie nobili, grandi proprietari terrieri, che gestivano la cosa pubblica a loro vantaggio: di fatto poco era cambiato dal feudalesimo, dal quale Piansano si era emancipato già in ritardo con le lotte per la terra. Il cosidetto "suffragio universale" fu introdotto solo nel 1918, dopo la I guerra mondiale, ma era ancora esclusivamente maschile e fu presto di fatto abolito dal regime Fascista. Le libere elezioni furono riprese nel 1945, con la fine della II guerra mondiale, quando fu esteso il diritto di voto alle donne. Il progressivo ampliamento della base elttorale, seguito ad un faticoso cammino di democratizzazione, ha inciso col tempo anche sull'estrazione sociale dei sindaci, non più facoltosi possidenti terrieri ma piuttosto moderni agricoltori, lavoratori dipendenti, pensionati, professori.

I sindaci di Piansano dall'unità d'Italia ad oggi:

Dal 1871 alla I Guerra Mondiale:

- Generoso Talucci: nel 1871
- Domenico Gigli: dal 1872 al 1876
- Domenico Parri: dal 1877 al 1879
- Francesco Lucattini: dal 1883 al 1896 / dal 1908 al 1910
- Luigi Bartolotti: dal 1896 al 1899
- Giuseppe Compagnoni: dal 1899 al 1904
- Vincenzo Ruzzi: dal 1904 al 1908
- Felice Falesiedi: dal 1910 al 1914
- Lauro De Parri: dal 1914 al 1925

I podestà sotto il regime Fascista:

- Rodolfo Cascianelli: dal 1926 al 1929
- Lauro De Parri: dal 1929 a maggio 1944

Dal secondo dopoguerra ad oggi:

- Vittorio Falesiedi: dal 13 Giugno 1944 a Dicembre 1945
- Giuseppe De Simoni: da Aprile 1946 a Dicembre 1953
- Pietro Foderini: da Gennaio 1954 a Giugno 1956
- Leonardo Falesiedi: da Giugno 1956 a Novembre 1960
- Mario Belano: da Novembre 1960 a Novembre 1964
- Ivrio Belano: da Novembre 1964 a Dicembre 1967
- Giuseppe Melaragni: da Gennaio 1968 a Giugno 1970
- Franco di Francesco: da Giugno 1970 a Luglio 1975
- Giuseppe Foderini: da Luglio 1975 a Giugno 1980
- Carlo Brizi: da Giugno 1980 a Maggio 1985
- Carlo Consalvi: da Maggio 1985 a Maggio 1990
- Luigi Burlini: da Maggio 1990 ad Agosto 1992 / da Aprile 1995 a Giugno 1999
- Carlo Mattei: da Agosto 1992 ad Aprile 1995
- Roseo Melaragni: da Giugno 1999 a Giugno 2009
- Andrea Di Virginio: Sindaco in carica da Giugno 2009.


La tessitrice di Piansano: Lucia Burlini.

Nel XVIII secolo la piccola Piansano ha dato i natali ad un'umile tessitrice, Lucia Burlini, che a dispetto delle sue modeste origini e di una vita condotta nella frugalità e in assoluta semplicità, seppe destare e commuovere le coscienze della popolazione della Tuscia, lasciando un segno indelebile nella fede e nella devozione popolare.

Nata in un momento difficile della storia del borgo, gli inizi del Settecento, quando a Piansano imperversavano carestie e povertà, ebbe una vita di stenti e di sofferenze, vissuta tra la fede, encomiabili esperienze caritatevoli e l'umile quanto dignitoso lavoro di tessitrice condotto in famiglia. Frequentò la locale scuola delle Maestre Pie e già fin dall'adolescenza mostrò i primi sintomi della profonda religiosità che ne contraddistinguerà gli anni della giovinezza; momento significativo della sua esperienza di fede fu l'incontro nel 1734 con Paolo della Croce. Il Santo in quel tempo si trovava nella vicina Cellere, impegnato in una Missione popolare che incantò e scosse sensibilmente le piccole comunità rurali di quelle terre. Nel colloquio tanto desiderato, Lucia manifestò il suo fermo volere di intraprendere un cammino spirituale sotto la sua guida. Iniziarono anni segnati da salute malferma nonostante la giovane età, ma anche dal fervente desiderio di seguire il missionario, fin da subito consapevole dell'eccezionale vocazione di Lucia. Dai ripetuti colloqui col Santo, la giovane Lucia apprese il cammino da percorrere per raggiungere la spiritualità e la perfezione evangelica; agli incontri, si aggiungeva un’intensa corrispondenza epistolare, notevole fonte di informazioni per ricostruire la vita della giovane, ancora più preziosa se si pensa che Lucia doveva essere analfabeta, mandata a scuola per imparare a svolgere i lavori domestici, in particolare la tessitura, che mai abbandonò nel corso della vita, esortata a ciò dalla sua stessa guida spirituale. La scuola delle maestre pie infatti non prevedeva l'insegnamento della scrittura ma solo delle arti pratiche; la stessa Lucia dovette provvedere da sola ad imparare a leggere e scrivere, con grandi difficoltà come dichiara lei stessa. Si saprà poi che lo stesso Paolo della Croce introdusse il giovane prete Don Giovanni Antonio Lucattini, per aiutare Lucia a comprendere i passi più difficili delle sue lettere, come le frasi in latino e i concetti teologici.

La figlia di Dio trascorse gli anni a seguire in totale impegno caritatevole, operando a sostegno della vicina comunità passionista del "Cerro" a Tuscania e prodigandosi come instancabile questuante per l'opera di San Paolo della Croce.

Dal carteggio con il Santo si apprendono episodi considerati miracolosi dai contemporanei, a cui è la stessa Lucia a dare voce, come la sublime visione delle colombe e il mistico abbraccio del Crocifisso. Il primo si riferisce ad un episodio di preveggenza, nel quale la Burlini prevede la fondazione dell'ordine delle suore claustrali della Passione, simboleggiate del volo di uno stormo di tortorelle volteggianti intorno al crocefisso. Ma l'episodio della vita di Lucia che più è rimasto impresso nella memoria dei compaesani è l'abbraccio di Gesù crocefisso, avvenuto nel 1751, nella appena rinnovata chiesa parrocchialedi San Bernardino; mentre la donna pregava sull'altare del santissimo Crocefisso, Gesù staccate le mani dalla croce la invitò in un abbraccio.

Aggravatesi le sue già precarie condizioni di salute, Lucia Burlini morì il 1 Maggio 1789, venerata da una folla di quanti l'avevano tanto amata in vita. Un processo canonico voluto dal Vaticano, alla luce della sua conclamata santità, l'ha consacrata Venerabile nel 1987; a Piansano una lapide ricorda la sua piccola casa natale, umile come la sua esistenza, evocatrice di fede e carità nel suo indelebile ricordo. Nella chiesa parrocchiale fu eretto un monumento a lei dedicato che ospita la tomba, divenuta meta di pellegrinaggio, incontri e veglie di preghiera, particolarmente il primo di maggio, giorno della sua pia morte.


La chiesa di San Bernardino da Siena: origini di un'antica devozione

La devozione verso San Bernardino da Siena affonda le sue radici nella colonizzazione di Piansano avvenuta ad opera di coloni toscani nel XVI secolo: i nuovi venuti, artefici della rinascita economica e culturale del borgo, portarono dalle loro terre di origine usanze, tradizioni, liturgie che trovarono terreno fertile nella povera Piansano.

La chiesa dedicata al santo senese su esortazione delle genti toscane qui trasferitesi, sorse sullo stesso luogo di un precedente edificio sacro, risalente agli anni Venti del XV secolo, dedicato in origine al vecchio patrono San Ercolano; rivelatosi troppo angusto per una popolazione che dopo l'arrivo degli immigrati iniziava ad aumentare, fu già nel XVI secolo ingrandito e restaurato; negli anni successivi subì molti altri interventi, fino ad essere del tutto demolita e ricostruita tra il 1750 e il 1753 in forme più magnificenti, adatte ad accogliere una comunità in notevole espansione; per l'occasione si chiamarono i mastri Luca Alessi di Corneto e Giacomo Bucci di Rimini: le cronache ricordano il contratto stipulato tra i due artigiani e la comunità, che prevedeva "1010 scudi ed una botte di vino che si era fatta per la cerca (questua) a condizione però che il popolo fornisse il materiale, cioè sassi, rena, cale ed il legname, trasportandoli con le loro bestie".

Nel 1753 la chiesa fu consacrata, terminata all'esterno, con una elegante facciata e il campanile che svettava tra i tetti di Piansano, ma non ancora conclusa all'interno, in cui i lavori si protrassero fino al 1776. La chiesa attuale, più volte rimaneggiata anche in epoche recenti, presenta una sola navata con sei cappelle dotate di altari lungo le pareti laterali, una delle quali custodisce la statua del santo portata in processione dai fedeli ogni 20 Maggio, giorno a lui dedicato; San Bernardino è ricordato anche nell'iscrizione dedicatoria della facciata, negli affreschi del soffitto e insieme al compatrono San Giovanni Battista nella pala dell'altare maggiore. Gli affreschi interni della volta che copre la navata centrale, probabilmente realizzati nell'ambiente pittorico viterbese del XVIII secolo, raffigurano l'Assunta, San Bernardino, Santa Lucia Filippini, che a Piansano fondò la scuola delle maestre pie, i martiri Sinesio e Costanzo. La chiesa custodisce al suo interno il corpo della Venerabile Lucia Burlini, qui sepolta per volere dello stesso San Paolo della Croce.

Ogni anno, in occasione della festa del santo, lungo le vie di Piansano si snoda, in segno di devozione e con grande partecipazione popolare, una solenne processione in cui i membri della confraternita del S.S. Sacramento portano a spalla l'antico baldacchino in legno dorato recante la statua di San Bernardino.


La devozione alla Madonna del Rosario

La devozione dei piansanesi alla Madonna del Rosario affonda le radici nel medioevo: è certo che già nel 1422 l'altare maggiore dell'angusta chiesetta parrocchiale avesse la doppia dedica al santo patrono (si sa quale era prima di San Bernardino ??) e alla Madonna del Rosario.

Per ricostruire la storia della venerata effige e dei momenti salienti dell'evento religioso è stata fondamentale la documentazione fornita del diacono Antonio Fagotto. Nel 1771, il parroco Fanti ebbe la premura di dotare l'altare di una statua della Vergine, che venne prontamente commissionata alle suore del Monastero di Santa Maria Maddalena a Monte Cavallo a Roma. Posto il simulacro in legno e cartapesta sull'altare maggiore della chiesa, si diffuse la notizia della presenza in Piansano di una statua miracolosa della Madonna; la tradizione vuole che orde di fedeli, provenienti dai paesi limitrofi, si recassero ai piedi della Vergine con i cari malati, per chiedere grazie e favori che puntualmente venivano esauditi. Fu così che alla metà dell’800, il vicario Foraneo don Vincenzo Fabrizi supplicò il Vescovo Jona di promuovere le azioni necessarieperchè il Capitolo Vaticano concedesse la corona aurea alla Madonna del Rosario. Il 26 settembre del 1863, tali onori vennero accordati. Lo stesso Pontefice Pio IX stabilì che la prima domenica di ottobre a Piansano fosse Solennità di Prima Classe con Ottava. L'incoronazione della Madonna del Rosario avvenne il 4 Ottobre del 1863 per mano di un commosso Vescovo Jona. Fu in quel momento che dal popolo si levò un unico fragoroso: "Evviva Maria".

L'appuntamento più solenne della tradizione piansanese è rappresentato dall'ascesa della Madonna, il venerdì antecedente alla prima domenica di Ottobre. Dalle fonti sappiamo che fino al 1855 la statua percorreva semplicemente la navata, trasportata dai sacerdoti tra la folla osannante. Nel 1856 venne realizzata quella che i piansanesi chiamano la macchina, (probabilmente influensati da quella più famosa di Santa Rosa da Viterbo) un antico e fastoso baldacchino in legno, impreziosito da lacche e intarsi colorati. I fedeli, dopo la recita del rosario, prorompono nel canto delle litanie lauretane; e tutti volgono lo sguardo verso l'alto, sulla sommità dell'altare dove è già posizionata la splendida "macchina" che accoglierà la Madonna. Gli addetti intanto dispongono obliquamente sull'altare due lunghe e resistenti travi di legno, che vanno a incastrarsi con quelle che in alto sorreggono il baldacchino. Una piccola processione di ecclesiastici, guidata dal celebrante e con al seguito sacerdoti e chierici, scende dall'altare e percorrendo la navata centrale si dirige verso la piccola sacrestia. Il corteo è preceduto dagli accoliti della confraternita del SS. Sacramento, che si dispongono lateralmante per aprire la strada gli ecclesiastici. Finalmente, la statua della Madonna del Rosario esce e percorre la navata tra gli inni della folla. La Signora viene posta sul baldacchino che sarà di nuovo issato, come in una miracolosa ascesa, sopra al tabernacolo; uscirà in processione solenne, solamente la domenica della festa, a benedire le vie del borgo.


Passeggiando per Piansano

Il borgo di Piansano, con le sue case, in cui la pietra è ancora dominante, i tetti così vicini l'un l'altro tra cui svetta il bel campanile, e le piccole viuzze, sembra quasi nascere naturalmente dallo sperone di tufo avvolto da fitta vegetazione che da sempre lo sostiene; i vicoli, gli archi e le volte che spuntano all'improvviso, le vecchie porte dimesse, i robusti blocchi di pietra incastonati qua e là, è quanto resta dell'antica rocca di Piansano: poco o nulla da vedere di un maniero cancellato dal tempo, in cui si respira però un'atmosfera autentica, il ricordo di un passato che emerge timidamente addentrandosi nel borgo.

Arrivando da Tuscania si nota come l'accesso del borgo antico si sia conservato intatto nei secoli. Una stradina tortuosa e in salita conduce alla così detta piazzetta delle case cascate, mettendo in comunicazione il Vicolo Vecchio con il Vicolo della Ripa, che segue l'andamento naturale del crinale. Il vicoletto si è perpetuato con tutte le sue curvature e variazioni di ampiezza, fino a raggiungere il sito su cui dovette sorgere l'antico castello, oggi occupato dal'attuale palazzo comunale. Dall'altra parte del poggio le case precipitano sulla ripa che costituiva una difesa naturale dell'abitato.

Per raggiungere il palazzo comunale da nord, si passa invece sotto la piccola torre, sulla quale campeggia lo stemma di Piansano e reca in alto un grande orologio. Dell'edificio che ospita gli uffici comunali non si conoscono né le origini né il committente: si sa che nel 1913 il comune lo acquistò dalla famiglia Fabrizi per istallarvisi. Presenta alla base un porticato costituito da tre archi in peperino, sorretti da due colonne centrali e due pilastri laterali di ordine tuscanico. Davanti ai quattro elementi di sostegno sono quattro colonne antropomorfe, sostenute da alti piedistalli quadrangolari, decorati da fiori, che sorreggono con la testa capitelli vagamente corinzi. Sui capitelli sono posti: lateralmente due leoni; al centro due uomini accucciati, con le mani sulle ginocchia, leggermente protesi in avanti, con il capo inclinato verso il passaggio centrale. Le sculture in pietra hanno insolite espressioni, accompagnate da gesti inconsueti per delle statue che, poste all'entrata di un palazzo, più che far da guardiani, sembrano sbeffeggiare i passanti. Gli archi sostengono un raffinato cornicione su cui è posta una leggera terrazza in ferro battuto. Alcuni studiosi propongono di ricondurre l'edificazione della loggetta alla prima metà del settecento, periodo in cui si assistette ad una fase di abbellimento e di completamento edilizio del paese. Il salone d'ingresso del palazzo ospita interessanti materiali lapidei rinvenuti nel territorio di Piansano: tra questi il sarcofago etrusco con su scritto il nome del proprietario Vel Cnevnas Velus, e due esemplari di cippi di confine, scoperti nella località Macchione, a circa un chilometro e mezzo da Piansano, realizzati nel XVII secolo sotto l'autorità dei Farnese, per demarcare il territorio di pertinenza della nobile famiglia con quello di Tuscania. Testimonianza della presenza dei Farnese a Piansano è anche nella Fontana del Giglio; situata alle porte del paese, sebbene fortemente rimaneggiata in epoca moderna, reca ancora una targa in peperino su cui figura il giglio farnesiano, la data di costruzione fissata al 1585 e le lettere incise C.P. probabile riferimento al castrum Planzani.

A un attento visitatore non sfuggiranno poi i tanti dettagli che affiorano qua e là nel paese: i bei portali in pietra appartenenti alla case De Carli e De Parri; i frequenti monogrammi cristologici, che ricordano la devozione verso San Bernardino, spesso visibili sulle facciate degli edifici di Piansano; l'altarino della Madonna col Bambino in Piazza Indipendenza, in cui l'immagine sacra è rappresentata su una ceramica a bassorilievo, possibile riproduzione di una manifattura toscana del XV-XVI secolo; la lapide che ricorda la casa natale della Venerabile Lucia Burlini.

Anche la storia moderna di Piansano ha lasciato le sue tracce, che emergono in particolare nel monumento ai caduti, eretto a memoria di un momento storico tragico per Piansano, che vide morire impotente tanti concittadini. Nel 1968 un primo monumento venne posto in Piazza Lucia Burlini e nel 1996 fu modificato e traslato nel giardino davanti alle scuole: l'architettura attuale del monumento è costituita da una stele rettangolare davanti alla quale un soldato inerme alza il braccio verso il cielo, come per arrendersi alla morte e alle atrocità della guerra.


Il dialetto piansanese

La tuscia incuneata tra toscana e umbria rivela, anche nel dialetto, il labile confine tra le regioni, spesso posto solo sulle carte geopgrafiche. E' così che ogni paese presenta delle particolarità nel parlato, anche a distanza di pochi chilometri; ma il dialetto piansanese si distingue da quelli dei paesi limitrofi per la incombente presenza di accenti e vocaboli prettamente toscani.

E' da notare come l'uso della "é" chiusa nelle parole come muréllo o agnéllo, sia tipica del senese. Allo stesso modo la "ó" chiusa in sónno non si riscontra nei dialetti dei paesi confinanti ma solo nella provincia senese. La stessa vocale diventa aperta nella parola òpre esortativo del verbo aprire.
Peculiare risulta l'uso di alcuni vocaboli come ad esempio badare usato nel senso di guardare, il participio creso inteso come creduto, l'infinito pelare con il significato di scottare, pocciare come succhiare, sbiciangola o biciangola come altalena, verro come maschio del maiale, 'nguastito usato nel senso di arrabbiato, guasto come malato, cretto ad intendere solco o crepa, cavare il vino per indicare la spillatura dalla botte, fo' e vo' come faccio e vado, diaccio inteso come freddo, lordo a significare sporco, citto come bambino, sguillare per scivolare, canapo per grossa fune e sieda per sedia.

Secondo alcuni, la spiegazione della presenza così forte del dialetto toscano, va ricondotta all'immigrazione degli aretini avvenuta alla metà del '500, che di fatto ripopolò un territorio abbandonato. La provenienza di queste famiglie, sembra però stridere con il dialetto piansanese, più simile a quello senese che a quello aretino, che invece presenta accostamenti all'umbro. Non da ultimo crea, qualche lecito dubbio in proposito, anche la devozione del paese a San Bernardino, santo appunto di Siena.


L'impianto eolico di Pansano

A gennaio del 2012 sono entrati in funzione i 21 aereogeneratori l'impianto eolico di Piansano. Questo interessa le aree ad est del territorio comunale, al confine con il comune di Capodimonte e a sud ovest ai confini coi comuni di Cellere e Arlena di Castro.

Ma come si produce l'energia eolica?

L'energia eolica si produce dallo sfruttamento del vento, grazie allo stesso principio della dinamo: quando le pale sono in movimento, l'energia viene trasformata in elettricità. Il vento fa ruotare un rotore, normalmente dotato di tre pale e collegato ad un asse orizzontale. La rotazione è trasferita, tattraverso un moltiplicatore di giri, ad un generatore elettrico e l'energia prodotta, dopo essere stata adeguatamente trasformata, viene immessa nella rete elettrica. Le turbine eoliche sono montate su una torre sufficientemente alta per catturare maggiore energia dal vento. L'energia prodotta in questo modo è un'energia sostenibile; inoltre è un'energia rinnovabile, dal momento che il vento è una risorsa inesauribile. Gli aerogeneratori e le opere di supporto (cabine elettriche, strade), occupano solamente il 2-3% dell'intero territorio necessario per la costruzione di un impianto eolico. Tutta la parte non occupata dalle macchine può essere impiegata in base agli usi preesistenti, quali l'agricoltura e la pastorizia. Inoltre, con la dismissione dell'impianto, l'area dovrà essere ripristinata allo stato pregresso.

Si stima che l'impianto del parco eolico di piansano, abbia le potenzialità per produrre circa 80 GWh/anno, comparabili al fabbisogno d'energia elettrica di circa 26.700 nuclei familiari. Con la realizzazione dell'impianto eolico di Piansano si potranno evitare, ogni anno, emissioni pari a circa 88.200 tonnellate di CO2 (anidride carbonica), 152 tonnellate di NOx (ossidi di azoto) e 112 tonnellate di SO2 (anidride solforosa).